Il legame del prodotto con il territorio è dimostrato da numerose testimonianze storiche. Citato in diverse opere, da Tommaso Campanella (1568-1639), filosofo domenicano di origini calabresi, Vincenzo Padula (1819-1893), giornalista e scrittore calabrese, Vito Teti (contemporaneo), professore ordinario di antropologia culturale all’Università degli Studi della Calabria.

Il “Calabresissimo Peperoncino”, così denominato da quest’ultimo, esprime un profondo legame con questa Regione d’Italia.
Il primo riferimento preciso sull’utilizzo del «Peperoncino di Calabria» si ritrova nel Medicinalium iuxta propria principia (1635) di Tommaso Campanella, filosofo domenicano di origini calabresi vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Nella sua opera, Campanella definisce il peperoncino «piper rubrum indicum» e gli dedica un ampio spazio in quanto lo considera salutare per la cura del corpo.

La presenza fissa del «Peperoncino di Calabria» è confermata anche dalla Statistica Murattiana del 1811. Nella sezione dedicata alla «Caccia, pesca ed economia rurale» della Calabria, l’indagine riporta le tecniche in uso per conservare la carne distinguendo, chiaramente, «la manifattura dei popolani che usano sale e peperoncino …».

Nella seconda metà dell’Ottocento il giornalista e scrittore calabrese Vincenzo Padula riporta nel suo fondamentale testo «Calabria prima e dopo l’Unità», che il peperoncino veniva soprannominato il «lardo della povera gente» per il largo consumo nell’alimentazione nonchè come merce di scambio per il popolo in un regime di baratto («il popolo non vede mai denaro: è pagato con fichi di scarto e peparoli»).

Agli inizi del 1900 il peperoncino è considerato alimento fondamentale dell’intera Calabria. Il prete calabrese Lorenzo Galasso, nella sua opera «Arabi e beduini d’Italia», segnala, a proposito delle abitudini alimentari degli abitanti di Mileto, che il loro pasto consisteva in «pane nero e duro, erbe selvatiche, peperoni, cipolle, agli, che mangiano avidamente e sono fortunati quando ne hanno». Ancora negli anni 50 del secolo scorso in alcune zone della Calabria il peperoncino rappresentava l’unico condimento nei pasti frugali della povera gente. In una nota di viaggio del 1958 lo scrittore calabrese Corrado Alvaro segnala che nei mercati locali erano venduti «certi pesci colore acciaio conservati sotto una polvere di pepe rosso».

Teti, autore della fondamentale «Storia del peperoncino», nel dedicare centinaia di pagine al legame di questo prodotto con la Calabria, utilizza l’espressione «calabresissimo peperoncino». E’ altresì importante notare come la denominazione «Peperoncino di Calabria» sia indicata non solo nel linguaggio comune e nelle transazioni commerciali ma anche nella letteratura scientifica (Siviero e altri, Informatore agrario n. 46/2004).

Le attivita’ legate alla coltivazione del peperoncino hanno segnato non solo l’economia locale ma anche l’aspetto delle case rurali e di quelle dei piccoli paesi nelle campagne calabresi, dove non esiste abitazione che non abbia una treccia di peperoncini appesa alle porte e alle finestre per consentirne l’essiccazione e averne una scorta sempre a portata di mano.

Il «Peperoncino di Calabria» è prodotto in aziende agricole di dimensione medio-piccola, che utilizzano quasi esclusivamente manodopera familiare. Ciò ha consentito un uso inalterato di tecniche costanti, ha garantito una continuità nella tradizione, ha evidenziato una specializzazione professionale rimasta inevitabilmente legata a risorse umane difficilmente reperibili in altri contesti territoriali. Le competenze specialistiche risultano particolarmente importanti laddove si riscontra l’intervento della manualità: dalla coltivazione della pianta, alla raccolta delle bacche, fino alle operazioni di essiccazione, di intreccio e confezionamento del prodotto.
Il prodotto evidenzia un legame culturale con il territorio attraverso la sua presenza in molte fiere e sagre locali. Tra queste si segnala il «Festival del peperoncino», organizzato a Diamante dalla «Accademia del peperoncino» nei primi giorni di settembre: la manifestazione, finalizzata alla promozione del peperoncino, ha acquistato ormai fama internazionale e attira ogni anno una larghissima partecipazione di pubblico e di specialisti. Il festival rappresenta anche la più rinomata occasione per la degustazione del prodotto. Un «Museo del peperoncino», creato a Maierà, contribuisce a dare rinomanza al «Peperoncino di Calabria». Molte sono inoltre le preparazioni che vedono il «Peperoncino di Calabria» come ingrediente fondamentale e che moltiplicano la sua già indiscussa reputazione.

Il «Peperoncino di Calabria» entra prepotentemente nella cucina del territorio, improntandone la caratterizzazione di fondo. Sono almeno un centinaio i piatti tipici nei quali il prodotto è ingrediente fondamentale, dai primi : il morseddu, la licurdia, la zuppa di cipuddizze, i cannaruozzoli, i fusilli alla silana, ecc.;), ai secondi : la carne incantarata, i frittuli, le mazzacorde, l’agnello con i muscari, lo spezzatino di capra, il capretto alla calabrese ecc.; ai contorni: le olive fritte, le olive ammaccate, la chiculliata, l’insalata di alici crude o i cavoli con patate schiacciate;). A Diamante viene da anni servito anche un «gelato al peperoncino». Il profondo radicamento del «Peperoncino di Calabria» nella cultura alimentare del territorio si può percepire, infine, dalla singolare quanto diffusa usanza di tenere disponibile sulla tavola una manciata di peperoncini da aggiungere con disinvoltura alle pietanze più disparate. Tutto questo ha fatto dire a V. Teti che «è raro trovare un piatto, fresco o conservato […] in cui non appaia, in dose moderata o esagerata il peperoncino fresco o essiccato e poi macinato. La tipicità alimentare calabrese è impensabile senza l’uso del peperoncino».
tratto dalla gazzetta ufficiale

Il peperoncino nella storia

l peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un’isola caraibica, Haiti, molto probabilmente la specie da lui incontrata e da lui battezzata “peperone rosso” fu il Capsicum chinense, delle varietà Scotch bonnet o Habanero, le più diffuse in quelle isole.
Fu il botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) che in seguito divenne il primo a classificare il presunto “peperone rosso” sotto il nuovo genere Capsicum, dove divenne parte della famiglia delle solanacee (solanacee).
Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in Africa e in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della popolazione che non poteva permettersi l’acquisto di cannella, noce moscata e altre spezie molto usate per il condimento e la conservazione di alimenti.
Il frutto venne chiamato peperone a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell’aspetto), con il pepe, Piper in latino.